“Tu di là, tu di qua, tu lì, voi da quella parte”: no, non sono diventato scemo tutto insieme, forse già lo ero vi starete chiedendo, ma scherzi a parte, il virgolettato con cui ho voluto aprire questo capitolo ha un significato ben preciso.
Arriverò a sottolineare anche quel che di bello fa parte della nostra cultura all’italiana, giuro lo farò, ma su alcune cose non posso esimermi dall’affrontarle insieme a voi.
In un mondo globalizzato, in un contesto di libero mercato sarebbe la cosa più normale parlare di categorie di consumatori, categorie di produttori, categorie di imprese, categorie, categorie e ancora categorie… Alt, una cosa è affrontare un discorso dal punto di vista macroeconomico, altra è osservare le tristi consuetudini con cui a livello sociale siamo in qualche modo costretti a mandar giù ogni giorno!
Può far comodo a qualcuno probabilmente, ma ricondurre ogni persona ad una categoria d’appartenenza è di uno squallore unico. Mi ricollego a quanto detto nel post precedente, noi in Italia non siamo per nulla abituati a considerare tutti indiscriminatamente persone, ognuna con le proprie caratteristiche; tutti vanno necessariamente riconnessi ad una categoria di appartenenza ed ecco che sembra la cosa più normale parlare della categoria dei ciechi, dei sordi e chi più ne ha più ne metta… Peccato che questa odiosa categorizzazione avvenga in maniera molto più diretta e asintomatica nei confronti di persone “facilmente” riconducibili ad una categoria… Perché non sento mai parlare della categoria dei calvi? o degli occhialuti? Forse sarebbe una follia farlo? E allora perché i ciechi devono essere una categoria di persone o i sordi un’altra, come se non fossero dotati di dignità propria, ma la si debba ricollegare a scelte di qualcun altro che decida laddove classificarli, ma in base a cosa?
Forse la colpa è anche la nostra, che negli anni specialmente quelli passati, abbiamo fatto il grave errore di sentirci “vittime” in balia delle scelte altrui, senza opporre alcun tipo di recriminazione, senza far sentire la nostra voce con forza in mezzo a quelle di tutti.
Io, da cieco che parla per se stesso e non certo per bocca di una… Categoria? No signore! Non parlo in rappresentanza di nessuno, ma lo faccio dando voce ai miei di pensieri, alle mie di idee e non certo rimettendole alla stregua di nessuno o avendo la presunzione di elevarle a rappresentative di chissà chi.
Sarebbe ora che tutti capissero che un cieco, ma un disabile in generale, non ha nulla che gli possa impedire, se non la propria volontà, di farsi portavoce di se stesso, di valorizzare le proprie idee senza il timore che queste finiscano nel casellario di una qualche ridicola catalogazione impostagli da qualcuno.
Le idee di un cieco non valgono meno di quelle di un normodotato e se vogliamo dircela proprio tutta… Volendo, ma proprio volendo stringere e cadere nel tranello sociale della catalogazione in categorie, la prima e forse l’unica che porrei al primo posto sarebbe quella degli stronzi che ancora non hanno capito che la dignità e la libertà sono un bene che appartiene a tutti e che da tutti e per tutti va tutelato