“E pecché?” Presente quella domandina che ogni bimbo si diverte a ripetere in continuazione al papà e alla mamma? Quando sembra andare in loop e ripetere, ripetere, ripetere ancora e ancora quell'”e pecché?”, come se non gli bastasse mai la risposta, come se la “sete” di sapere, imparare non avesse fine.
Ecco, nell’OntheRoad di oggi, volevo condividere con voi una riflessione proprio su quella curiosità insaziabile che anima i bambini e li spinge a quel fantastico loop di “e pecché” uno dietro l’altro.
Mi chiedo… Ma pecché, ah no, perché 🙂 quella irrefrenabile curiosità non riusciamo a mantenerla poi anche da adulti? Il bambino è spinto chiaramente dalla voglia di scoprire un mondo nuovo, ma perché noi pensate conosciamo ogni sfaccettatura di quel che ci circonda?
Io mi rivedo molto in quella curiosità… Forse l’esser cieco e non avere un feedback visivo di quel che mi circonda, mi spinge a voler cercare sempre di più, nuovi dettagli, nuove sfumature che mi rendano l’immagine di quel che ho attorno il più chiara possibile.
Non ho detto che cieco sta a curioso un po’ come bambino sta a curioso :p Assolutamente no. Sono fermamente convinto che quella curiosità faccia parte di ognuno di noi e che la chiave di volta stia nell’accontentarsi o meno di un’immagine sfocata rispetto ad una ricca di sfumature.
“Less is more”, in certi ambiti si direbbe, ma non quando si tratta di approcciarsi al mondo esterno, non pensi?
Dai che te lo stai chiedendo, “e pecché?”
Hai proprio ragione, Paolo. Io, personalmente, intendo la curiosità anche in senso più ampio, come voglia di cambiare, di crescere, di mettersi in discussione anche imparando dagli altri, incluso chi è molto diverso da noi. Purtroppo spesso è più semplice e rassicurante rintanarci nel nostro angoletto in compagnia delle nostre ‘certezze’ e dei nostri punti di vista, rimanendo totalmente impermeabili al mondo esterno, convinti che nulla e nessuno possa aggiungere qualcosa di buono al nostro prezioso tesoro. Basta semplicemente guardare il mondo da un’altra prospettiva, magari – passami la metafora – con gli occhi degli altri, per accorgersi di quanto le nostre sicurezze o le nostre convinzioni possano cambiare. Il confronto raramente diventa un parlare e ascoltare per dare, ma anche ricevere qualcosa. Lo ammetto, sto imparando solo oggi, ormai superata la soglia dei 50 anni, che il dialogo con persone che non la pensano come noi non deve essere uno scontro tra ego, per dimostrare chi è più intelligente e ha l’opinione più corretta, ma per arricchirsi reciprocamente. Scusami per questo sproloquio, più lungo del tuo articolo, ma mi hai ispirato. Grazie!